- Fin dagli anni 70 del secolo scorso, ossia dall'inizio della prevista crisi "definitiva" (che da allora continua a produrre condizioni materiali non più nascoste, già pronte per la società futura, che premono con forza crescente su quelle attuali scombussolandone persino le premesse ideologiche e scientifiche) anche il pensiero borghese ha iniziato a fornire sempre più innumerevoli e fertili capitolazioni di fronte al marxismo. Ne ricorderemo alcune per raccoglierle in un ideale elenco da cui trarre auspici . [vedi altro in Forniture]
Che fine ha fatto il progresso? N+1 numero 8 Giugno 2002
Rifkin è un economista, ma è anche sociologo, filosofo, professore universitario, presidente di un organismo sul trend economico mondiale, attivista ambientale e no-global, nonché prolifico scrittore (14 libri). Negli anni '80 fu uno dei 12 consiglieri della Casa Bianca per il futuro dell'economia americana. Troppo di tutto per essere considerato scienziato dai suoi colleghi, troppo poco economista per essere accettato nel Gotha dell'economia. Nelle redazioni di periodici come The Economist, Wall Street Journal, Finacial Times e Il Sole 24 Ore lo detestano.
Eppure nei suoi scritti non traspare altro che un riformismo vagamente utopista. Le caustiche censure degli addetti ai lavori sono evidentemente frutto di semplici diatribe all'interno della borghesia: oggi che è di moda il liberismo spinto, anche un riformismo rosé passa per statalismo jugoslavo titoista, come scrive Il Sole 24 Ore a proposito di Entropia.
Dato che invece gli Stati controllano sempre di più l'economia (o almeno, tentano), non è escluso che ritorni di moda qualche aggiornamento del keynesismo.
Ma anche in questo caso Rifkin non sarà riconosciuto come un benemerito anticipatore di tendenze e, se potrà magari vendere i suoi libri ancora di più, non riuscirà mai a scrivere sul compassato e fondamentalista The Economist, il talibano del libero mercato. Né sarà ben visto dagli altri portavoce del Capitale.
Il motivo, come vedremo, non consiste nella sua scelta di campo ambientalista e no-global (peccato veniale per i capitalisti, se si pensa che fa vendere un sacco), ma in qualcosa di intimamente connesso con la natura del Capitale e dei suoi meccanismi di salvaguardia che, dialetticamente, ne segneranno inesorabilmente la fine.
È questo che proprio non va giù.
Naturalmente l'apocalittico Rifkin non anticipa un bel nulla, si limita a registrare quello che succede nel mondo dell'economia proiettandone gli effetti nel futuro, visto così nero da fargli sentire necessarie prediche di stampo moralistico.
Così facendo scivola malamente sia sul piano scientifico che su quello delle public relations, dato che offre il fianco alla critica più banale: nessuno si basa più su modelli economici lineari, che non tengono conto dei cambiamenti apportati dallo stesso sviluppo che si vuole osservare; nessuna previsione degli apocalittici è mai stata corroborata dai fatti perché ogni sistema ha capacità di autoregolazione; nessuno, ad esempio, parla più dei catastrofisti del Club di Roma che commissionarono i celebri studi sui "limiti dello sviluppo".
Malgrado tutto ciò, è possibile trarre dall'impostazione generale del lavoro di Rifkin, e soprattutto dalla massa dei dati che presenta, conclusioni che gli attirano l'odio dei colleghi perché vanno ben al di là delle sue intenzioni, perlomeno quelle dichiarate.
Entropia
Entropia fu pubblicato per la prima volta nel 1980 sotto il patrocinio della Foundation of Economic Trends di cui Rifkin diventerà presidente.
Vi si sviluppa in modo piano e comprensibile la teoria di Georgescu-Roegen secondo cui ogni economia non è altro che un sistema di produzione/riproduzione soggiacente al secondo principio della termodinamica, cioè un sistema irreversibilmente dissipativo di energia (in termini capitalistici, dissipativo del valore che produce, aggiungiamo noi).
Per quanto il concetto fondamentale sia sepolto sotto una massa di considerazioni ecologiche di maniera, il lettore attento è comunque portato a trarre conclusioni drastiche sulla fine del capitalismo.
La fine del lavoro è del 1995. Vi si affronta la storia dell'avvento della Macchina, la quale finisce per sostituire l'Uomo.
Il sistema di macchine richiede sempre più energia in confronto all'uomo (che "consumerebbe" assai meno). Ovvero richiede sempre più energia la produzione di una qualsiasi merce. Il mondo capitalistico nel suo insieme dissipa sempre di più relegando masse di uomini ai margini della società, elementi inutili del sistema. Questa massa di uomini ha raggiunto la cifra ufficiale di 800 milioni di disoccupati, ma un numero ancora maggiore vive di attività miserabili che sfuggono alle statistiche.
In tale contesto, spontaneamente o meno, fioriscono settori che si sottraggono ai criteri del mero profitto e sconfinano nel "sociale" dove viene meno lo scambio di valore. Nei paesi a capitalismo avanzato, tali settori tendono ad essere una parte sempre più consistente dell'economia.
In L'era dell'accesso (del 2000) viene sviluppato dal punto di vista economico e sociale lo scenario della smaterializzazione delle merci, più volte affrontato anche da altri nell'ambito degli studi sulle nuove tecnologie.
Nel libro è analizzata la questione del sopravvento dei servizi sulla produzione materiale e la perdita d'importanza della proprietà fisica a favore del controllo dei flussi di valore. Se ne deduce che nella società d'oggi il possesso non è più un fine desiderabile come un tempo, anzi, sarà considerato sempre più una seccatura man mano sarà sostituibile con il semplice uso a pagamento.
Qui per noi è ben visibile l'operare di una legge fondamentale del marxismo, quella della rendita: se lo scambio mercantile lascerà il posto ad una transazione per l'accesso ad un servizio (sia pure per l'uso di un bene fisico come la casa o l'automobile), tutta la società, basata su aree produttive sempre più piccole ma in grado di fornire tutto il necessario, dovrà pagare una tangente ai pochissimi rappresentanti della massa del capitale impersonale e internazionale. La concorrenza non sarà tanto sul piano della produzione e della circolazione delle merci, quanto su quello dell'accaparramento del valore attraverso il monopolio dell'accesso. Non più soltanto al suolo e agli immobili ma a tutto.
Come previde Marx, una quota sempre maggiore di plusvalore sarà devoluta alla rendita.
L'autore ha integrato questa trilogia con saggi su specifici temi, come l'ecologia, le biotecnologie e l'esasperata alimentazione a base carnea (considerata a ragione altamente dissipativa di energia sociale).
Man mano che pubblicava ha però praticamente dimenticato la legge fisica dell'entropia, posta a premessa del suo stesso lavoro, e si è perso nei meandri dell'attualità.
Non importa se questa significativa regressione teorica è dovuta alla rincorsa del successo piuttosto che ai limiti imposti dall'ideologia borghese: quando non si può superare il sistema sociale esistente è inevitabile che vi si piombi dentro a capofitto.
Perciò, mentre sarebbe stato importante continuare sulla scia di Georgescu-Roegen traendone ulteriori conseguenze, i saggi successivi sono invece diventati una sequenza di capitoli in cui la gran mole di dati statistici serve solo a tracciare uno specchietto, a mostrare le conseguenze della società capitalistica senza poterne trarre tutti gli insegnamenti.
L'adesione a tesi del leftism americano ha dato un'impronta politica a scapito di quella scientifica, tanto da giustificare abbondantemente gli attacchi dei suoi critici (il suo libro Dall'alchimia all'algenia ebbe per esempio una clamorosa stroncatura da parte del biologo paleontologo Stephen J. Gould, recentemente scomparso).